Siamo stati stravolti dall’uragano Covid-19, tra i vari cambiamenti di abitudini quello che ha coinvolto in maniera più accentuata i nostri ragazzi e i loro insegnanti è improvvisare la didattica a distanza. È stato tutto repentino e inaspettato. “La storia insegna, ma non ha scolari” disse Antonio Gramsci. Sarà vero?

Alberto Manzi fu il primo maestro che insegnò a distanza. Conoscerlo si è rivelato molto interessante, sia per ciò che ha fatto, che per ciò che pensava. Siccome parliamo del secolo scorso, qualcuno potrebbe pensare che sia storia, ma abbiamo imparato qualcosa da allora?

La didattica a distanza rivela un maestro

Questo maestro è diventato famoso per il programma della RAI “Non è mai troppo tardi” andato in onda dal 1960 al 1968, per insegnare a leggere e a scrivere agli analfabeti adulti, che rappresentavano l’8,3% della popolazione italiana. Ho trovato il suo approccio molto interessante per diversi motivi.

Oggi viviamo in una società dove è raro incontrare qualcuno che non sa né leggere e né scrivere, ma come riportava un articolo del tg24 di Sky, secondo lo Human Development report del 2009 in Italia il 47% della popolazione presentava un analfabetismo funzionale. Questa espressione significa che pur sapendo leggere e scrivere, la persona non è in grado di “comprendere e valutare un testo scritto per intervenire attivamente nella società, raggiungere i propri obiettivi o sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità”.

I DSA mettono in difficoltà una persona proprio nelle abilità di base, ma questo disturbo coinvolge solo 4-5% della popolazione scolastica, siamo ben lontano da un 47%. Contrariamente a quello che pensano alcuni, cambiare didattica, per una più efficace non si fa solo per chi ha dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA). La didattica efficace lo è per tutti.

Quando si parla degli anni 60 per i ragazzi di oggi sembra “roba vecchia”, del secolo scorso. Tuttavia Alberto Manzi aveva un punto di vista sulla didattica tutt’altro che superato. Ma prima vediamo chi era questo maestro “mediatico”?

Alberto Manzi l’insegnante

È nato a Roma nel 1924. La sua carriera scolastica iniziò nel 1946 al Carcere “Aristide Gabelli” di Roma, dopo essersi laureato in Biologia. Questa esperienza lo segnò profondamente ed fece emergere le sue doti di insegnante.

Secondo la biografia completa prima di lui quattro insegnanti rinunciarono al incarico per la difficoltà che presentava la classe. Era composta da 94 ragazzi dai 9 a 17 anni con vissuti e alfabetizzazioni diverse, le condizioni erano durissime. La classe era complicata, però Manzi riuscì a coinvolgere i ragazzi e a creare un gruppo compatto. Insieme ai giovani carcerati scrisse una storia che in seguito rielaborerà nel suo primo romanzo, premiato nel 1948 con il “premio Collodi” per le opere inedite, intitolato “Grogh, storia di un castoro”. In un’intervista disse di aver saputo che di tutti questi ragazzi solo 2 tornarono in prigione. Sicuramente questa esperienza diede il la alla sua carriera di maestro. Come cita la sua biografia: ”Alberto Manzi nel suo mestiere di insegnante riversava entusiasmo, metodo, volontà di sperimentare, di rimettere continuamente tutto in discussione, in gioco. ”

Chi non vorrebbe un maestro così? Inoltre il sapersi mettere in gioco è una caratteristica fondamentale per crescere e migliorarsi a livello personale e professionale. Tutti dovremmo metterci in gioco sia come genitori che insegnanti per il bene dei bambini e ragazzi.

Insegnò nella scuola elementare dal 1954 al 1977 e si spese in molte iniziative di scolarizzazione in Sud America e in Argentina.

Nasce la didattica a distanza

Nel 1960 fu mandato dal suo direttore didattico alla RAI per condurre il programma “Non è mai troppo tardi”. Nel 1965 il programma fu premiato dall’UNESCO come uno dei migliori programmi televisivi per la lotta contro l’analfabetismo.

Nel descrivere il suo compito, in un intervista, Alberto Manzi disse che non insegnava a leggere e scrivere, ma invogliava il suo pubblico a leggere e scrivere. Anche questo pensiero è molto interessante; perché leggere e scrivere, se non è accompagnato dalla voglia di conoscere e capire, non può portare all’analfabetismo funzionale?

Un maestro e un educatore

Questo maestro fece diverse ricerche ed interventi sugli argomenti della didattica, della pedagogia e dell’educazione. Nei vari documenti messi a disposizione sul sito del Centro Alberto Manzi, ci sono degli appunti del maestro che ho trovato avvincenti. Qui vi vorrei citare una frase molto bella.

“I bambini imparano con insegnanti che credono nelle loro capacità intellettuali e nella disponibilità dei genitori a partecipare attivamente al processo educativo dei loro figli.
La scuola dev’essere un posto dove sorridere e sentirsi felice e al sicuro.”

In qualità di genitori o di insegnanti, nel contesto scolastico o in quello della didattica a distanza; se non comprendiamo precisamente cosa sono i DSA, sarà molto difficile credere nelle capacità intellettuali dei nostri figli o alunni, non credete?

La storia ci insegna?

Un altro trafiletto, secondo me, pertinente è il seguente:

“La partecipazione attiva dei genitori va a vantaggio del bambino. Ma la partecipazione attiva significa prendere coscienza del problema educativo, impegnarsi ad essere disponibili con il bambino, aiutarlo ad avere fiducia nelle sue capacità… Molti insegnanti non vogliono i genitori che ficcano il naso “dappertutto” nel lavoro scolastico; che cercano di capire quali fini intende raggiungere l’insegnante, come intende raggiungerli, con quale metodologia. Nascono così sospetti, incomprensioni, dove molto spesso i genitori cominciano a credere che l’insegnante non si preoccupa veramente dei loro figli.

Eppure dobbiamo lavorare insieme perché stiamo dalla stessa parte. Il nostro obiettivo è comune: realizzare un programma educativo serio in un ambiente sereno.” – (Il grassetto è mio)

Alberto Manzi si è spento nel 1997. I suoi appunti mi sembrano molto attuali, benché siano passati così tanti anni; e le sue riflessioni molto appropriate anche oggi. Che ne pensate? Scrivetelo nei commenti e apriamo una riflessione. Anche noi, sia che siamo genitori o insegnanti, mettiamoci in gioco.

Facciamo in modo che la storia insegni!

Stiamo creando un gruppo formato da genitori, insegnanti e specialisti, che lavorano a spalla a spalla per insegnare ai ragazzi a pensare e sentirsi capaci, come diceva Alberto Manzi, dando loro i mezzi per affrontare gli imprevisti che incontreranno nella vita. Se anche tu vuoi che la storia insegni, condividi questo articolo sui tuoi social preferiti e iscriviti alla newsletter. Ti aggiorneremo sugli sviluppi e le attività di questo gruppo.

Fonti: